La crisi della vocazione delle guardie giurate, un problema per la sicurezza del Paese. La posizione di A.N.I.V.P.

Intervista a Marco Stratta, Segretario Generale A.N.I.V.P.

Possiamo fare il punto sulla situazione degli organici di gpg e operatori di sicurezza disarmati a livello di settore?

Certo, anche se non è così semplice perché nel nostro settore dati precisi non ci sono. Oggi però possiamo sicuramente dire che per le GPG esiste una vera e propria “crisi delle vocazioni” con crescenti problemi di reperibilità e impiego alle dipendenze delle aziende del settore. Per gli operatori di sicurezza disarmati questo problema è meno evidente, in quanto il mercato di riferimento è un po' più elastico.

Non si sbaglia se si dice che per le GPG ci sia un deficit di organico vicino al 20% soprattutto al centro/nord, mentre per quanto riguarda gli operatori di sicurezza disarmati non è quantificabile ma sicuramente minore.

Dal suo punto di osservazione, quali sono le cause principali di una situazione che potrebbe diventare insostenibile?

Le cause, a mio giudizio, sono principalmente due, a cui se ne può aggiungere una terza.
La prima è di carattere storico: con la fine della leva obbligatoria si è tolta ai giovani del nostro Paese la possibilità di vivere, già a 18 anni o comunque entro i 25, un primo approccio con il mondo militare e le sue regole. Oggi questa esperienza non esiste più e, di conseguenza, non c’è alcun contatto con un mondo fatto di divise, armi e ordine come invece accadeva in passato.

La seconda causa è culturale. Oggi elementi come la divisa o l’arma non vengono più percepiti come valori, mentre un tempo erano fattori di identità: erano riconosciuti e apprezzati da una più ampia base della società, tanto che molte persone non disdegnavano affatto di diventare guardie giurate proprio perché si ritrovavano in questi valori.

C’è poi un ulteriore aspetto, più pratico e trasversale a molti settori: il disagio legato alle modalità lavorative. La nostra professione, per il 70%, si svolge in orari notturni o nei giorni festivi. Oggi molti giovani non sono disposti a impegnarsi in mansioni con queste caratteristiche, a meno che non ci sia un ritorno economico molto alto, ma probabilmente non basterebbe nemmeno per rendere le mansioni veramente attrattive.

Questo riguarda soprattutto le guardie giurate, meno gli operatori di sicurezza. Perché? Il controllo accessi e le attività affini vengono spesso vissute come un impiego temporaneo, un passaggio; mentre la guardia giurata è una professione più identitaria che viene vista come una scelta di vita, un percorso che ti abbraccia e che ti accompagna per molti anni se non per tutta la vita lavorativa.

Quali misure dovrebbero adottare le imprese per migliorare la situazione?

Non è così semplice, perché il nodo principale è culturale e sociale. Serve quindi una risposta concreta da parte del settore, più che da parte di una sola azienda. A mio giudizio è principalmente necessario migliorare l’immagine delle società del comparto e delle professioni che impiegano; bisogna dare valore sociale a cosa facciamo e fare bene il nostro lavoro, farne percepire il valore. Questo è fondamentale, altrimenti l’attività avrà sempre meno appeal tra i giovani.

Allo stesso tempo è indispensabile intervenire anche sul piano economico e normativo, il sistema va modernizzato e reso più competitivo; magari differenziando alcune figure giuridiche oggi previste per permettere di impiegare in alcune attività anche gli extracomunitari. Si tratta però di un processo lungo, che non può certo risolversi nel giro di pochi mesi e che necessita dell’attenzione degli attori coinvolti; il legislatore o decisore che dir si voglia, ci deve aiutare per evitare che tra due anni non si sappia più chi mettere a gestire la sicurezza di aeroporti, tribunali, stazioni ecc.

Potrebbero essere necessarie delle misure sistemiche a livello normativo? Se si quali?

Un ulteriore passaggio riguarda la normativa. Oggi la disciplina interessa solo alcune professioni, ma nel caso delle guardie giurate dovrebbe riflettere meglio ciò che sta accadendo a livello sociale. A mio giudizio serve una distribuzione più equilibrata delle mansioni e un riconoscimento più chiaro tra quelle attività che richiedono realmente la qualifica di guardia giurata e quelle per cui invece non è necessaria.

In questo modo si eviterebbe che compiti che non necessitano dell’arma vengano svolti esclusivamente dalle guardie giurate, con un utilizzo più razionale delle professionalità.

Cosa possono fare le Associazioni di categoria in materia?

Ci stiamo già muovendo molto in questa direzione. Stanno partendo diversi progetti volti a valorizzare l’immagine della guardia giurata e, più in generale, la professionalità degli operatori.

Come A.N.I.V.P., ad esempio, parteciperemo a breve al Salone dello Studente proprio per iniziare a promuovere questa immagine, anche attraverso un’opera di sensibilizzazione nelle scuole. L’obiettivo è raccontare le nostre professionalità in una chiave diversa, mettendone in evidenza il valore sociale, perché il nostro “non è solo un lavoro”.

Stiamo altresì collaborando con alcune imprese associate in progetti specifici di employer branding; abbiamo anche organizzato un coordinamento con le figure HR delle aziende associate che fin da subito si è focalizzato su queste dinamiche.

Nessuno ce la fa da solo, dobbiamo darci da fare tutti.

 

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