Sostenibilità, il futuro per la cara, vecchia sicurezza

Editoriale essecome quarterly 3/2022

“Le roi est mort, vive le roi” dicevano in Francia prima della Rivoluzione per annunciare la morte del vecchio re e l’ascesa di quello nuovo, perpetuando la monarchia.
Lo stesso potremmo dire anche noi, pensando quanto sia cambiata la concezione della sicurezza e quanto sia diverso il suo ruolo nell’intera società al seguito dei grandi cambiamenti globali degli ultimi anni, a partire dalla trasformazione digitale per arrivare alle pandemie ed alle guerre.
Chiunque operi a qualsiasi titolo nel settore ha compreso che la ‘sicurezza’, intesa come disciplina a se stante per la sola protezione dagli atti predatori, è finita da tempo, sostituita dall’approccio metodologico e delle competenze che lei stessa ha prodotto per la tutela di ciò che ha un ‘valore’ per le persone, come singoli e come collettività.
Un vero e proprio passaggio generazionale che ne ha innalzato l’importanza e ampliato a dismisura gli ambiti di applicazione, aumentando di conseguenza anche le responsabilità di coloro che ‘fanno sicurezza’.
Il punto di partenza per cogliere le enormi opportunità di questo cambiamento è la messa a fuoco del cambio radicale di ciò che adesso viene considerato di valore.
Se prima il concetto era associato quasi esclusivamente al corrispettivo economico di oggetti materiali (preziosi, denaro contante, merci) o immateriali (dati, proprietà intellettuale, immagine), oggi viene esteso alla salute, all’ambiente, al rispetto dei diritti umani, alla libertà. In altre parole, ad ambiti per i quali il semplice contenuto economico passa in secondo piano o svanisce del tutto.
L’esempio più evidente di questo fondamentale cambio di paradigma viene dato dai giovani che da una parte stanno chiedendo a gran voce ai governi ed alla società di proteggere il pianeta dall’inquinamento ambientale, dall’altra stanno sollecitando silenziosamente una diversa ‘cultura del lavoro’ non più improntata solo allo scambio denaro/tempo di lavoro ma che deve tener conto della qualità della vita, delle prospettive di crescita professionale, della fiducia che l’azienda è in grado di dare.
Questo chiedono oggi i giovani per cedere il proprio tempo ai datori e l’ottusità o la sordità delle imprese è alla base dell’attuale disallineamento tra domanda e offerta di lavoro che sta producendo danni economici al sistema produttivo ben superiori a qualsiasi atto predatorio ‘old style’.
Del resto, quelle richieste - il rispetto dell’ambiente, l’attenzione alle relazioni, la consapevolezza dei vertici delle organizzazioni – coincidono alla perfezione con i pilastri della ‘sostenibilità’, la nuova parola politicamente corretta che sintetizza il cambiamento in corso di quanto si ritiene abbia valore.
Ma se ciò che ha un valore dev’essere comunque protetto, quali metodologie, quali competenze e quali tecnologie possono garantire il rispetto dei criteri della sostenibilità meglio di quelle sviluppate e collaudate per la cara, vecchia sicurezza, intesa come cultura della prevenzione e capacità di mitigare le minacce?

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