Dallo spray al taser: i “surrogati” che possono uccidere
intervista a Michele Bardi, senior security manager e docente presso San Giorgio Formazione
Il porto non autorizzato di strumenti ritenuti innocui espone le GPG a responsabilità penali gravissime. Gli ultimi casi di cronaca lo dimostrano.
Il tema dell’armamento delle Guardie Particolari Giurate rimane centrale nel dibattito sulla sicurezza privata. Sempre più spesso emergono casi in cui alcuni operatori valutano l’impiego di strumenti ritenuti “meno pericolosi” della pistola, come spray urticanti o taser.
Una convinzione che, oltre a non avere alcun fondamento normativo, espone a conseguenze professionali e giuridiche gravissime.
Abbiamo chiesto a Michele Bardi, esperto della normativa sulla vigilanza privata, di chiarire l’attuale quadro regolatorio e i rischi connessi al porto non autorizzato da parte delle GPG.
Qual è la cornice normativa che disciplina l’armamento delle GPG?
La legge non lascia spazio a interpretazioni: il Prefetto rilascia una licenza di porto d’armi e un’autorizzazione al porto della pistola esclusivamente per difesa personale. Questo significa che l’unico strumento di cui la GPG può essere dotata e che può legittimamente portare durante il servizio è la pistola autorizzata. Qualsiasi altro dispositivo, dagli spray urticanti ai taser, non è incluso nell’autorizzazione e quindi non può essere portato né utilizzato. Dura lex, sed lex: è la regola che vale per tutti, senza eccezioni. Pena il configurarsi di un abuso.
Molti ritengono spray e taser meno pericolosi della pistola. È davvero così?
Si tratta di una convinzione ingannevole. Questi strumenti sono spesso definiti “non letali”, ma la realtà dimostra il contrario. Basti pensare agli ultimi due casi che hanno coinvolto le forze di polizia: l’uso del taser ha purtroppo provocato la morte delle persone colpite. L’esito di uno strumento di coercizione non dipende solo dalla sua classificazione, ma anche dalle condizioni fisiche della persona, dalla distanza, dal contesto e, soprattutto, dall’addestramento di chi lo utilizza.
E le conseguenze per una GPG che decidesse di portare uno strumento non autorizzato?
Pesantissime. Si va dalla violazione penale per porto abusivo di strumenti atti a offendere fino alla responsabilità civile e penale in caso di lesioni o morte. Inoltre, l’uso di uno strumento non autorizzato espone la GPG a una responsabilità professionale diretta, senza alcuna copertura normativa o istituzionale. Non solo si rischia la revoca delle licenze ma si mette in gioco la stessa legittimità del servizio svolto, in propria persona, senza copertura normativa o istituzionale.
Oltre agli aspetti penali, ci sono implicazioni disciplinari?
Certo. Un istituto di vigilanza non può tollerare che un proprio operatore introduca strumenti non autorizzati. In questi casi, oltre al rischio di revoca della licenza individuale, l’istituto potrebbe subire conseguenze da parte della Prefettura per mancata vigilanza sui propri dipendenti: il comportamento di un singolo può ricadere sull’organizzazione, con danni economici e reputazionali significativi.
C’è chi sostiene che questi strumenti dovrebbero essere introdotti anche per le GPG. È una prospettiva realistica?
Il tema è dibattuto ma, allo stato attuale, non ci sono basi normative. L’uso del taser da parte delle forze di polizia è stato introdotto con sperimentazioni e regole molto stringenti, prevedendo formazione specifica, protocolli sanitari e catene di responsabilità precise. Traslare questa esperienza sulle GPG significherebbe aprire una riflessione profonda ma, come già detto, al momento non esiste alcuna previsione normativa in tal senso. Non possiamo quindi confondere il dibattito politico con la realtà giuridica: oggi le GPG non possono portare altro che la pistola autorizzata.
Alla luce dei recenti fatti di cronaca, che lezione trarre per le GPG?
Che non esistono scorciatoie in materia di sicurezza. Se strumenti ritenuti “meno invasivi” possono causare la morte anche quando utilizzati da operatori di polizia formati e autorizzati, ciò dimostra quanto sia illusorio credere che una GPG, priva di autorizzazione e di addestramento specifico, possa usarli senza rischi. La vera professionalità sta nel rispetto delle regole e nella consapevolezza delle proprie responsabilità.
Qual è allora la strada per rafforzare davvero la sicurezza privata?
Investire su formazione, addestramento e cultura della legalità. Una GPG che conosce i limiti del proprio mandato, che sa gestire conflitti senza eccedere e che utilizza correttamente lo strumento autorizzato è una risorsa preziosa. Al contrario, chi si affida a strumenti non autorizzati diventa un problema, non una soluzione.
Negli ultimi anni le GPG sono sempre più impiegate in servizi a contatto con il pubblico. Che cosa comporta questo cambiamento?
È vero, la figura della Guardia Particolare Giurata non è più limitata alla sola tutela dei beni materiali. Oggi, nell’ambito della sicurezza complementare e sussidiaria, le GPG operano in contesti in cui la loro presenza incide direttamente anche sulla protezione delle persone. Ciò implica la capacità di individuare situazioni di pericolo, rilevare elementi di rischio per garantire l’incolumità dei cittadini, saper gestire dinamiche relazionali complesse con il pubblico. Una responsabilità ulteriore, che evidenzia ancor più l’importanza della formazione, dell’equilibrio professionale e del rispetto rigoroso delle regole.
La criminalità con cui oggi si confrontano le GPG è diversa rispetto al passato. Quali riflessioni suscita questo scenario?
Negli anni ’80 o ’90 il rischio prevalente era la microcriminalità predatoria. Oggi, invece, le GPG devono affrontare fenomeni molto più ampi e articolati: criminalità organizzata, furti con modalità evolute, aggressioni in contesti affollati e, non di rado, soggetti in stato di alterazione psico-fisica. Sono sfide nuove, che richiedono strumenti e ruoli adeguati. Per questo, credo sia urgente una riflessione normativa che collochi meglio le GPG all’interno del sistema sicurezza nazionale, valorizzando il principio della sicurezza partecipata. Una collaborazione più strutturata tra pubblico e privato non solo è auspicabile, ma diventa necessaria di fronte alla complessità dei rischi attuali.
In sintesi, la questione non riguarda la ricerca di strumenti alternativi, ma il rispetto rigoroso di un perimetro normativo ben definito. Il porto di spray o taser da parte delle GPG, lungi dall’essere una soluzione “più semplice”, rappresenta una violazione che può generare responsabilità gravi e irreparabili. Il futuro della sicurezza privata passa attraverso professionalità, formazione e rigore giuridico, non attraverso facili scorciatoie.
Rimane inteso che, per casi specifici, è concesso ai Titolari della Licenza dell’IdV presentare richiesta al Prefetto per autorizzare il porto, da parte delle proprie guardie giurate, di strumenti diversi dalla pistola. Solo in presenza di tale autorizzazione le GPG possono esserne dotate ed eventualmente portarlo sulla divisa, che – va ricordato – è anch’essa approvata e non può essere modificata senza il nulla osta dell’autorità competente.
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